Abuso di droghe e supporto alla tossicodipendenza: riconoscerla, accettarla, affrontarla.
- Dottoressa Fedele Denise

- 27 giu
- Tempo di lettura: 13 min
Aggiornamento: 3 lug
Dott.ssa Fedele Denise – Psicologa, Consulente sessuale, Specializzanda in Sessuologia Clinica e in Psicoterapia
Abstract
L’abuso di sostanze stupefacenti rappresenta una delle principali sfide sanitarie e sociali contemporanee, con implicazioni multidimensionali. La dipendenza è oggi riconosciuta come una condizione clinica cronica, con meccanismi neurobiologici, fattori psicologici predisponenti e influenze ambientali significative. La Giornata Internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe (26 giugno) è l’occasione per accendere i riflettori su una tematica spesso invisibile, stigmatizzata o guardata con pregiudizio, e per fare una riflessione aggiornata sulle possibilità di cura e reinserimento sociale della persona dipendente.
Questo articolo esamina le attuali conoscenze scientifiche sul fenomeno della tossicodipendenza, evidenziando cosa significhi dipendere da una sostanza, quali siano i fattori di rischio, i segnali da non ignorare. Sottolinea inoltre il ruolo cruciale degli interventi psicoterapeutici, dei servizi territoriali e delle strategie multidisciplinari di trattamento per interrompere il ciclo della dipendenza, elaborare le cause profonde del disagio, ricostruire relazioni e ritrovare un senso di sé. Si richiama infine l'attenzione sull'importanza di interventi preventivi come forma di protezione e promozione della salute.

Introduzione
Ogni anno, il 26 giugno, si celebra la Giornata Internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe, un’occasione per riflettere su un tema spesso sottovalutato, stigmatizzato o frainteso. L’uso problematico di sostanze psicoattive costituisce una condizione clinicamente rilevante con impatto significativo sulla salute individuale e collettiva. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), oltre 296 milioni di persone nel mondo hanno fatto uso di droghe almeno una volta nel 2021, e circa 39,5 milioni vivono una forma di disturbo da uso di sostanze (UNODC, 2023).
In Italia, i dati del Dipartimento per le politiche antidroga segnalano un aumento di accesso ai servizi per le dipendenze, in particolare tra i giovani adulti. Affrontare il problema della tossicodipendenza richiede comprensione, competenze specifiche e una rete di supporto professionale. L’uso di sostanze stupefacenti non è semplicemente una “cattiva abitudine”: esso ha origine dalla storia di vita della persona, dal contesto in cui vive, dalla qualità delle relazioni familiari e/o significative durante l'infanzia, dalle esperienze del soggetto, dai traumi, dai disturbi di natura emotiva e da altri fattori. Se il meccanismo innescato da queste variabili non viene riconosciuto può diventare un disturbo cronico e recidivante: una dipendenza, con ripercussioni profonde sulla salute psicologica, fisica e relazionale della persona. Questo complesso scenario impone la necessità di un approccio integrato che tenga conto delle componenti biologiche, psicologiche, sociali e culturali del fenomeno sia per gli interventi di cura sia per quelli di prevenzione.
Le origini della dipendenza: una malattia complessa, non una colpa
L’abuso di droghe non riguarda solo la volontà della persona. Le neuroscienze ci mostrano che l’uso ripetuto di sostanze come cocaina, eroina, cannabis, metanfetamine o nuove sostanze psicoattive modifica i circuiti cerebrali legati al piacere, alla motivazione e al controllo degli impulsi. In altre parole, la sostanza prende progressivamente il controllo sulla vita della persona. Ma ci sono altri fattori eziologici, psicologici, sociali ed educativo che co-occorrono alla stabilizzazione del disturbo.
L’interazione tra queste componenti richiede una lettura sistemica del fenomeno.
1. Aspetti biologici
La vulnerabilità alla dipendenza ha basi genetiche e neurobiologiche. L’assunzione ripetuta di sostanze altera il sistema dopaminergico, coinvolto nei circuiti della ricompensa e induce neuro adattamenti che promuovono la compulsione e la perdita di controllo, generando una risposta gratificante che rinforza il comportamento d’uso e riducendo progressivamente la capacità di provare piacere attraverso stimoli naturali (Koob & Volkow, 2016).
In altre parole, con il tempo, il cervello si adatta, riducendo la sensibilità al piacere e aumentando il bisogno di assumere la sostanza.
2. Fattori psicologici
Tra i fattori predisponenti troviamo difficoltà emotive, disturbi dell’umore, traumi infantili, bassa autostima e tratti di impulsività. L’uso di sostanze può rappresentare un tentativo disfunzionale di automedicazione o una modalità per evitare emozioni intollerabili (Khantzian, 1997). In altre parole la droga può diventare un modo per “anestetizzare” il dolore, per sfuggire a stati interni vissuti come intollerabili.
3. Componenti sociali ed educative
Povertà, emarginazione, assenza di figure di riferimento, dinamiche familiari disfunzionali e ambienti ad alta esposizione al rischio sono tutti fattori che aumentano la probabilità di sviluppare una dipendenza. Anche il modello educativo e l’accesso precoce alle sostanze giocano un ruolo significativo.
Come riconoscere un disturbo da uso di sostanze
Il disturbo da uso di sostanze (SUD – Substance Use Disorder) è una condizione complessa che può manifestarsi in modi molto diversi da persona a persona. Tuttavia, esistono alcuni segnali clinici e comportamentali ricorrenti, riconosciuti anche nei principali sistemi diagnostici internazionali (DSM-5-TR, ICD-11), che aiutano a identificare precocemente una situazione di rischio o una vera e propria dipendenza.
I principali segnali da osservare sono:
Craving
Si tratta del desiderio intenso, urgente e incontrollabile di assumere la sostanza. Il craving può interferire con i pensieri, l'umore e il comportamento, diventando il centro dell’attenzione quotidiana.
Perdita di controllo sull’uso
Nonostante l’intenzione di limitare o smettere l’assunzione, la persona continua a usare la sostanza in quantità maggiori o per un periodo più lungo di quanto previsto. Questo è spesso accompagnato da ripetuti fallimenti nei tentativi di interrompere l’uso.
Tolleranza
Nel tempo, per ottenere gli stessi effetti, l’organismo sviluppa una crescente tolleranza, cioè richiede dosi più alte o sostanze più potenti. Questo segnala un adattamento neurochimico che può aggravare il rischio di danni fisici e psicologici.
Astinenza
Quando si riduce o si interrompe l’uso, compaiono sintomi fisici e psicologici sgradevoli (es. irritabilità, insonnia, tremori, ansia, sudorazione, depressione). La persona può arrivare a riutilizzare la sostanza solo per evitare i sintomi di astinenza, perpetuando il ciclo.
Compromissione del funzionamento personale
Il disturbo da uso di sostanze influenza negativamente la qualità della vita. Possono emergere difficoltà gravi in ambito:
Lavorativo o scolastico (assenze, calo di rendimento, licenziamenti);
Relazionale e familiare (conflitti, rotture, perdita di fiducia);
Finanziario e legale (spese incontrollate, debiti, problemi giudiziari).
Isolamento sociale e trascuratezza
Con il progredire del disturbo, la persona può ritirarsi dalla vita sociale, abbandonare interessi e relazioni significative, trascurare la cura di sé, fino a vivere in uno stato di solitudine e disconnessione.
Negazione e razionalizzazione del problema
La persona può minimizzare la gravità della situazione, negare le conseguenze, attribuire la colpa all’esterno o convincersi di avere tutto sotto controllo. Questa difesa psicologica è comune e rappresenta un ulteriore ostacolo all’accesso al trattamento.
Un approccio integrato: il ruolo della Psicoterapia, della Famiglia e dei Servizi sul Territorio
Spesso chi vive una dipendenza si vergogna, si sente giudicato o teme di non essere compreso. È proprio in questi momenti che un aiuto professionale può fare la differenza.
La dipendenza per essere trattata richiede un intervento su più livelli, costruito sulla persona e sulla sua storia.
Il trattamento integrato per la dipendenza prevede:
A. Psicoterapia individuale
Il ruolo della psicoterapia è ricostruire, non solo disintossicare: è uno strumento prezioso. Un intervento psicologico offre uno spazio sicuro per comprendere i significati emotivi della dipendenza e per apprendere modalità di regolazione alternative: può aiutare a comprendere che funzione ha la sostanza nella vita della persona, quali emozioni o vissuti cerca di gestire attraverso l’uso, e come può sostituirla con strategie più sane.
A seconda del bisogno, il percorso psicologico può includere:
Sostegno motivazionale, per accompagnare la persona nella fase di consapevolezza e cambiamento;
Terapia cognitivo-comportamentale (CBT), utile per lavorare su pensieri, emozioni e comportamenti legati alla dipendenza;
Interventi sul trauma (come l’EMDR), quando l’abuso di sostanze è legato a esperienze traumatiche;
B. Terapia familiare
Spesso la dipendenza coinvolge l’intero sistema familiare. La Psicoterapia relazionale o familiare, è utile per ricostruire legami e affrontare dinamiche disfunzionali. Essa crea un contesto più stabile e supportivo in cui coinvolgere chi è accanto alla persona e in cui lavorare in collaborazione per interrompere circoli viziosi, migliorare la comunicazione e sostenere il cambiamento.
C. Intervento medico e farmacologico
In alcuni casi può essere necessaria una terapia farmacologica di sostegno per gestire l’astinenza o per ridurre il craving. Alcuni farmaci agiscono come sostitutivi (es. metadone), altri modulano la risposta cerebrale alla sostanza.
D. Coinvolgimento dei servizi sul territorio
Attivare una rete di sostegno è fondamentale per interrompere il ciclo di vergogna, isolamento e ricadute.
La sinergia tra psicologi, medici, educatori e assistenti sociali è fondamentale.
Oltre alla psicoterapia individuale, in Italia esistono numerose risorse pubbliche e private a disposizione di chi vive una dipendenza:
I Ser.D (Servizi per le Dipendenze), presenti in tutte le ASL, che offrono interventi integrati medico-psicologici;
Le comunità terapeutiche, che accolgono persone in percorsi residenziali o semiresidenziali;
I gruppi di auto-mutuo aiuto, come Narcotici Anonimi o gruppi per familiari (Al-Anon)
I professionisti del settore privato, come psicologi, psicoterapeuti, educatori, medici, che lavorano spesso in rete con i servizi pubblici.
Le conseguenze della mancata presa in carico: quando l’assenza di cura diventa rischio
Non intervenire tempestivamente nei casi di abuso o dipendenza da sostanze non significa solo “rimandare” un trattamento: significa esporre la persona a un peggioramento progressivo, sul piano fisico, cognitivo, psicologico e relazionale.
L’uso cronico e non trattato comporta una serie di effetti collaterali spesso sottovalutati, ma potenzialmente gravi e, in alcuni casi, irreversibili. Vediamo alcuni esempi:
Danni cerebrali e organici irreversibili
L’uso continuativo di sostanze psicoattive può compromettere in modo duraturo il funzionamento di diversi organi e apparati. Alcol, cocaina, eroina, metanfetamine, benzodiazepine e altri farmaci, se assunti fuori controllo, possono danneggiare:
Il sistema nervoso centrale, con effetti neurotossici su memoria, attenzione, funzioni esecutive e capacità di apprendimento;
Il fegato (cirrosi, epatiti), i reni, l’apparato cardiovascolare e il sistema respiratorio;
Il sistema immunitario, esponendo a maggior rischio di infezioni e patologie opportunistiche.
Deterioramento cognitivo e fisico
La tossicodipendenza non curata può portare a una significativa regressione nelle capacità cognitive, con difficoltà nel prendere decisioni, nell'organizzare il pensiero, nel regolare le emozioni. A livello fisico, si osserva spesso deperimento corporeo, trascuratezza, insonnia cronica, malnutrizione e ridotta capacità di resistenza allo stress psicofisico.
Questo deterioramento contribuisce a un circolo vizioso: più il corpo e la mente si indeboliscono, più difficile diventa uscire dalla dipendenza.
Comorbidità psichiatriche
In assenza di un trattamento, molte persone sviluppano o aggravano disturbi psicologici preesistenti. Le comorbidità più frequenti includono:
Disturbi dell’umore, in particolare depressione maggiore;
Disturbi d’ansia generalizzati, fobie, attacchi di panico;
Disturbi psicotici indotti da sostanze o indipendenti, spesso riacutizzati dall’uso;
Disturbi di personalità, in particolare borderline e antisociale.
Questa sovrapposizione (nota come doppia diagnosi) complica il quadro clinico e rende il percorso terapeutico più articolato, richiedendo un intervento integrato e multidisciplinare.
Perdita di autonomia e progettualità
Col tempo, la dipendenza tende a invadere ogni area della vita: lavorativa, affettiva, sociale. La persona può perdere il lavoro, interrompere gli studi, allontanarsi dagli amici, allentare i legami familiari. Ne deriva una profonda perdita di progettualità e senso del futuro, con vissuti di inutilità, fallimento e apatia. L’incapacità di immaginare un’alternativa possibile rafforza la dipendenza stessa, alimentando la sensazione che “non ci sia via d’uscita”.
Overdose e rischio di morte
Una delle conseguenze più tragiche, e purtroppo frequenti, dell’assenza di intervento è il rischio di overdose. Questo può accadere sia per l’assunzione accidentale di dosi elevate, sia per la presenza di sostanze adulterate o mescolate (ad esempio fentanyl o farmaci da banco con alti rischi di tossicità).
Secondo i dati dell’Osservatorio Europeo delle Droghe (EMCDDA), ogni anno migliaia di persone muoiono per overdose in Europa. Molte di queste morti sarebbero evitabili con un trattamento precoce, l’accesso ai servizi e una maggiore consapevolezza del rischio.
Fattori Rischio per una Buona Prognosi: La stigmatizzazione sociale e l'isolamento relazionale
La stigmatizzazione sociale: un ostacolo invisibile
Chi vive una dipendenza viene spesso etichettato, giudicato e colpevolizzato: come persona debole, irresponsabile, o pericolosa. Questo processo di stigmatizzazione, alimentato da pregiudizi e disinformazione, ha conseguenze profonde. Non solo favorisce l’autoesclusione sociale, ma genera anche un vissuto di vergogna, senso di colpa e sfiducia, che rende molto difficile chiedere aiuto. La percezione di essere stigmatizzati compromette la possibilità di accedere a cure, aderire ai trattamenti o costruire relazioni terapeutiche efficaci (Livingston et al., 2012). In molti casi, il timore di essere giudicati allontana la persona dai servizi di supporto, ritardando o ostacolando il percorso di cura.
L’isolamento relazionale: quando i legami si spezzano
Spesso, a causa dell’uso di sostanze, le relazioni significative – familiari, amicali o affettive – si deteriorano o si interrompono. I legami vengono logorati dalla sfiducia, dal conflitto o dal dolore, generando un senso crescente di solitudine. Anche la famiglia, in alcuni casi, può vivere un forte stress o un senso di stigma secondario, reagendo con chiusura, ambivalenza o rifiuto.
L’assenza di reti relazionali solide e di sostegno priva la persona di riferimenti fondamentali. Senza figure di supporto emotivo, senza un senso di appartenenza, il ricorso alla sostanza può diventare una modalità per colmare un vuoto affettivo, regolare il dolore o gestire la frammentazione interiore.
Perché stigma e solitudine peggiorano la prognosi?
Entrambi questi fattori interferiscono con alcuni aspetti fondamentali del percorso terapeutico:
Rallentano o impediscono la richiesta di aiuto;
Ostacolano la creazione di un’alleanza terapeutica efficace con i professionisti;
Indeboliscono la motivazione al cambiamento, perché senza relazioni significative il futuro può apparire privo di senso;
Espongono a un maggiore rischio di ricaduta, soprattutto nei momenti di crisi.
Per questo, nella presa in carico della dipendenza, è essenziale considerare non solo l’individuo, ma anche il suo contesto relazionale e sociale.
Fattori Protettivi per una Buona Prognosi: La relazione terapeuta-paziente e la motivazione al cambiamento
La relazione con lo psicologo o la psicologa diventa una relazione di cura, in grado di riparare anche quel senso di solitudine profonda che molte persone dipendenti sperimentano.
Il cambiamento nella tossicodipendenza non è mai immediato. Uscire da una dipendenza non è un atto singolo, ma un processo graduale, spesso non lineare, che attraversa fasi diverse: dalla negazione iniziale alla consapevolezza, fino all’azione e al mantenimento. Questo percorso è descritto nei modelli di cambiamento motivazionale (Prochaska & DiClemente, 1983) e richiede tempi soggettivi, tolleranza all’ambivalenza e supporto continuo.
La motivazione al cambiamento non va data per scontata: è un processo delicato e personale, che va coltivato con pazienza.
Essa può affievolirsi nei momenti critici e riaccendersi con piccoli successi. Il ruolo dello psicologo è proprio quello di riconoscere ogni segnale di apertura, rafforzarlo e sostenerlo con tecniche comunicative efficaci (come il colloquio motivazionale), senza essere impositivo. Il terapeuta lavora nel sostenere la persona nel rafforzare questa motivazione, valorizzando ogni piccolo passo verso il miglioramento e accompagnando il paziente attraverso un percorso terapeutico personalizzato in base alla fase motivazionale, alla storia individuale e alle risorse presenti.
Fondamentale per l'efficacia dell'intervento è anche la creazione di una relazione di cooperazione tra paziente e professionisti sanitari: una collaborazione basata sulla fiducia, il rispetto reciproco e l’ascolto. Questo clima relazionale permette di affrontare insieme le difficoltà, modulare gli interventi in base alle esigenze individuali e prevenire le ricadute.
Perché e' importante il ruolo degli Interventi Preventivi
L’efficacia del trattamento della dipendenza da sostanze è significativamente maggiore quando si adotta un modello integrato, centrato sulla persona, flessibile e orientato alla riabilitazione psicosociale. Tuttavia, persistono ostacoli culturali, stigmatizzazione e difficoltà nell’accesso precoce ai servizi.
Per rendere la prevenzione realmente efficace, è fondamentale investire nella sensibilizzazione della popolazione e nella formazione continua degli operatori.
Questo significa:
Promuovere una cultura del benessere psicologico, fin dall’età scolastica;
Educare alla gestione emotiva, al riconoscimento dei segnali di disagio e all’importanza del chiedere aiuto;
Diffondere conoscenze basate su evidenze scientifiche, contrastando i pregiudizi e le narrazioni stereotipate sulle dipendenze;
Preparare gli operatori sociosanitari, educatori, insegnanti e famiglie a riconoscere precocemente i segnali di rischio e a orientare verso i servizi competenti.
La prevenzione non è solo un compito dei professionisti, ma una responsabilità condivisa da tutta la società. Creare ambienti accoglienti, informati e non giudicanti è il primo passo per proteggere chi è più vulnerabile e promuovere la salute mentale collettiva.
Conclusioni: la tosicodipendenza non è solo una questione individuale, ma un tema di salute collettiva
L’abuso di sostanze è un fenomeno complesso che non riguarda solo chi ne è direttamente coinvolto, ma l’intera società. La dipendenza non è il risultato di una scelta causata da una debolezza, ma si configura come l’esito di un intreccio di fattori biologici, psicologici, relazionali e sociali. Stigma, solitudine, traumi e contesti disfunzionali sono spesso le radici invisibili di un disagio e in determinati contesti la droga può diventare un rifugio, un anestetico per la sofferenza, o una compagnia nei momenti di vuoto.
Per questo è fondamentale creare spazi terapeutici non giudicanti, accoglienti e umanizzanti, in cui la persona possa ritrovare fiducia e sicurezza
Intervenire precocemente, riconoscere i segnali, rafforzare la motivazione al cambiamento e costruire un'alleanza terapeutica autentica con i professionisti della salute può davvero fare la differenza. La psicoterapia non è solo un mezzo per “disintossicarsi”, ma un percorso per ritrovare sé stessə, ricostruire relazioni e riconnettersi con la propria storia in modo più consapevole e libero.
È cruciale investire nella prevenzione, nell’educazione emotiva e nella costruzione di reti di sostegno accessibili a tuttə. La mancanza di interventi strutturati e inclusivi non solo aumenta la sofferenza individuale, ma incide profondamente sulla salute pubblica, favorendo cronicizzazione, marginalità e costi sociali elevati.
È solo attraverso uno sguardo umano, integrato e non giudicante che possiamo contrastare davvero l’abuso di droghe. Perché dietro ogni dipendenza c’è una persona. E ogni persona ha diritto alla cura, alla dignità e alla possibilità di cambiare.
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